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10-14 gennaio 2023

Think Global Eat Local – Inaugurazione del FoodEinBO festival

11-21 gennaio 2023

9:30 – 18:00 lun-ven

Sala della Manica Lunga – Palazzo D’Accursio (Comune di Bologna)

Proiezioni ORTOgonali

Mostra foto-cartografica di orti bolognesi

Erica Zanetti, Serena Magagnoli e Francesco Grazioli

A cura di Ilaria Braschi e Francesca Vaccari


Venerdì 13 gennaio

17:00-19:00

Sala degli Anziani – Palazzo D’AccursioComune di Bologna

  • Inaugurazione
  • Mostra Proiezioni ORTOgonali

con Daniele Ara (Assessore Agricoltura – Comune Bologna) Francesco Orsini e Ilaria Braschi (Università di Bologna)

Intervengono:

Villa Ghigi e ortisti (Orti di Bologna): Orti urbani e didattici

Erica Zanetti (Fotografa): ORTOgrafie: segni di terra bolognese e della sua gente

Francesca Vaccari (Giardino Savioli): ORTIePORTICI. Autobiografia di un’area verde urbana

Francesco Casadei (Università di Bologna): Alcuni aspetti della storia degli spazi verdi e degli orti a Bologna

Giovanni Bazzocchi (Università di Bologna): Orti e biodiversità: un nuovo paesaggio urbano e alcune storie “minori”


di Pia Pera, saggista, scrittrice e coltivatrice di orti (Lucca, 1956-2016)

Quando Erica Zanetti mi aveva scritto per annunciarmi questa sua narrazione fotografica in centrata sugli orti comunitari bolognesi, mi ero aspettata di incontrare un certo tipo di persona, con un modo di stare al mondo, e forse anche una corporeità, analogo a quanto, a torto o a ragione, viene da associare a quanti si dicono vicini alla terra. Quando è poi venuta a trovarmi nel mio podere vicino a Lucca, sono rimasta piacevolmente stupita nel trovarmi di fronte una creatura quasi eterea nei soffici ricci biondissimi, nel flessuoso corpo slanciato dai movimenti resi ancora più armonici dalla ginnastica ritmica, nello sguardo che pareva rivolto più al cielo che alla terra.

Questo sguardo, tuttavia, sulla terra si era posato, cogliendo la poesia sommessa del lavoro taci turno di nonni, e nonne, assorti a zappettare i loro piccoli orti.

Che strano, ho pensato: questa giovane donna non ha l’aria di avere mai praticato il lavoro dei campi. Non riuscivo a immaginare quelle mani sporche di terra, alle prese con rastrelli, vanghe, cesoie, forche e carriole. Se anche non ha praticato l’orto in prima persona, doveva però averne compreso il valore. Come spiegare altrimenti che gli orti, e la comunità umana intorno a questi formatesi, per non parlare delle semplici piante, avevano così bene catturato la sua attenzione?

Al punto di indurla a passare molte giornate insieme a questi coltivatori di orti in città, ascoltarne partecipe le storie, coglierne i gesti, apprezzarne la tenacia con cui, giorno dopo giorno, hanno riempito i loro campicelli di mille premure.

Per tutti coloro che amano orti e giardini, credono nella pratica dell’orto e del giardino come nella via più immediata e forte di riallacciare il legame ormai troppo tenue tra uomo e natura, questa – che l’umile orto abbia saputo conquistare qualcuno che pareva provenire da tutt’altro mondo e progetti di vita – è una buona notizia.

Tanto per cominciare, è indizio di una piccola rivoluzione nel modo di considerare il lavoro stesso del contadino, fondamentale ma che, per secoli, è stato tuttavia considerato in modo troppo rapace, e certo con scarsa considerazione, di conseguenza poco remunerato e quindi abbandonato in massa per occupazioni all’apparenza più redditizie. Insieme ai contadini, è scomparso un intero paesaggio, e tutti noi abbiamo perso qualcosa, non solo Il mondo dei vinti fermato, a un passo dalla sua estinzione, nelle pagine bellissime e dolenti di Nuto Revelli.

Cominciare a vedere altrimenti il lavoro dei campi, apprezzando l’intelligenza vigile, la disciplina e l’amore che questo comporta, è il primo passo per restituire al contadino la soddisfazione di esserlo. Ma anche per comprendere a quanta pienezza di vita rinunci chi dell’operare nell’orto non faccia esperienza. Per nulla al mondo saprei rinunciare alle ore trascorse curando le pian te! Perché nei campi curiamo la terra, ma in cambio la terra assicura un nutrimento che, a ben considerare, non è solo materiale. Cominciamo allora a guardare, intanto, accogliendo l’invito di Erica Zanetti: che si tratti delle contorsioni di un peperone,

dell’abbandono rosato di cipolle ormai pronte per la raccolta, oppure delle involontarie opere d’arte povera create, nel corso degli ultimi trent’anni, dagli ortolani cui sono stati affidati i circa tremila appezzamenti in otto diversi quartieri della città di Bologna.

Chissà se i nipotini di questi ortolani vengono a trovare i nonni nell’orto. Chissà se attraverso questi semplici gesti i nonni hanno la possibilità di trasmettere i fondamenti di una alfabetizzazione non meno importante di quella impartita dalla scuola. Mi piace pensarlo.

In ogni caso, e qui concludo con un’altra buona notizia, nel nostro paese si sta diffondendo la consapevolezza dell’importanza di educare ragazzi e bambini nell’orto. Gli orti nelle scuole sono più numerosi di quanto si creda. Molti sono nati grazie all’iniziativa di maestri umani e illuminati: Ida Pannone nella scuola di San Lorenzo al Pozzo nel salernitano, Gigi Mattei a Pennabilli in Val Marecchia, tanto per fare i primi nomi che mi vengono in mente. C’è poi Gianfranco Zavalloni che, originario di una grande famiglia contadina di Cesena, trasmette da decenni, con entusiasmo e poesia, il sapere ma anche la gioia di vivere in fattoria (www.scuolacreativa.it). Vicino a Trento c’è Nadia Nicoletti che per raccontare le esperienze sue di maestra e dei bambini nell’orto tiene un “ortogiornale” su un portale degli orti (www.ortidipace.org). Per ultimo, una notizia che fa molto sperare per una maggiore diffusione degli orti in Italia: il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, dopo avere visitato lo Edible Schoolyard di Alice Waters a Berkeley, è rimasto folgorato dall’importanza di orti (e cucine) nelle scuole come via maestra dell’educazione al gusto. L’orto è, dopotutto, l’anticamera della cucina! E così ha avviato un bel programma di formazione (www.slowfood.it) cui auguro lo stesso successo di ogni altra sua felice iniziativa.

In certe scuole di paese spesso i nonni vengono chiamati ad aiutare nell’orto della scuola, anche a curarlo nel periodo delle vacanze estive. Avviene così che i nonni insegnano ai bambini, i bambini apprendono dai nonni, mentre l’orto resta il grande maestro e ispiratore di entrambi.

Ecco, vedo con gioia che sta prendendo forma un circolo virtuoso, sento aleggiare la speranza che la rinascita, tutto sommato recente, dell’interesse per giardini e orti si radichi in qualcosa di meno effimero di una moda.

E ringrazio Erica Zanetti per averci dato notizia, con tocco fresco e gentile, degli orti e ortolani della sua città.


(Questa riflessione è stata scritta da Pia Pera in occasione della prima mostra di ORTOgrafie all’Archiginnasio di Bologna nel 2006)

di Rosy Nardone, Ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. Docente di Modelli di mediazione didattica.

Le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare

Gianni Rodari, Ci vuole un fiore

Semi. Minuscoli, misteriosi, silenziosi chicchi che portano dentro di sé il potenziale esplosivo della vita.

Terra, acqua, sole, vento, mani. Il tempo scandito dall’attesa mai vuota, il moto silenzioso della vita che compie il suo ciclo, fatto di gesti di cura e di attenzioni quotidiane.

ORTOgrafie nasce come seme ancor prima della proposta del progetto nel 2005; è l’esito di un percorso di scoperta di sé, dell’altro e della vita attraverso lo sguardo fotografico, che per Erica Zanetti è dono naturale, è linguaggio istintivo per esprimere la sua anima. Il suo è un fare appassionato ma allo stesso tempo discreto, silenzioso come di chi sa che raccontare la storia di una vita è come entrare in un luogo sacro, intimo, in cui è necessario, innanzitutto, portare rispetto e ascolto.

È la sensazione di familiarità e di calore che contraddistinguono gli scatti di Erica, che fin dai suoi primi lavori nell’ambito teatrale e in quelli delle creazioni d’arte, ha sempre cercato di rappresentare i fili invisibili delle relazioni, dei vincoli, tra l’artista e la sua creazione, tra l’attore e le sue emozioni.

Ed ora tra l’orto e il suo ortolano.

ORTOgrafie è innanzitutto un tessuto di incontri, fili intrecciati quotidianamente tra Erica e gli anziani, cittadini attivi del territorio bolognese, che nutrono di vita pezzi di terra, giorno dopo giorno, in modo silenzioso, discreto, quasi nascosto.

Ed è questa ricerca dell’identità nascosta che porta alla realizzazione di questo viaggio fotografico alla scoperta degli orti cittadini di Bologna, capace di aprire una porta sull’invisibile, di rivelare come gli orti siano anche metafore di memorie che dialogano con il contesto in cui sono inseriti, che legano gli anziani e le anziane alle generazioni più giovani. Questi piccoli orti non aspettano l’uomo, ma la sua anima ne è irresistibilmente attratta, li interroga pazientemente, finendo, così, per fondersi con essi in una superiore unità, in cui non c’è più differenza tra lo spazio creato e quello evocato, tra il gesto e l’azione compiuta. Essi suggeriscono legami tra noi e l’altro che non si possono dire, ma solo mostrare o sentire, costruendo il valore di una cittadinanza solidale, attenta al proprio vicino, qualunque sia la sua provenienza.