Erica Zanetti: coltivatrice di sguardi

Erica Zanetti: coltivatrice di sguardi

di Rosy Nardone, Ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. Docente di Modelli di mediazione didattica.

Le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare

Gianni Rodari, Ci vuole un fiore

Semi. Minuscoli, misteriosi, silenziosi chicchi che portano dentro di sé il potenziale esplosivo della vita.

Terra, acqua, sole, vento, mani. Il tempo scandito dall’attesa mai vuota, il moto silenzioso della vita che compie il suo ciclo, fatto di gesti di cura e di attenzioni quotidiane.

ORTOgrafie nasce come seme ancor prima della proposta del progetto nel 2005; è l’esito di un percorso di scoperta di sé, dell’altro e della vita attraverso lo sguardo fotografico, che per Erica Zanetti è dono naturale, è linguaggio istintivo per esprimere la sua anima. Il suo è un fare appassionato ma allo stesso tempo discreto, silenzioso come di chi sa che raccontare la storia di una vita è come entrare in un luogo sacro, intimo, in cui è necessario, innanzitutto, portare rispetto e ascolto.

È la sensazione di familiarità e di calore che contraddistinguono gli scatti di Erica, che fin dai suoi primi lavori nell’ambito teatrale e in quelli delle creazioni d’arte, ha sempre cercato di rappresentare i fili invisibili delle relazioni, dei vincoli, tra l’artista e la sua creazione, tra l’attore e le sue emozioni.

Ed ora tra l’orto e il suo ortolano.

ORTOgrafie è innanzitutto un tessuto di incontri, fili intrecciati quotidianamente tra Erica e gli anziani, cittadini attivi del territorio bolognese, che nutrono di vita pezzi di terra, giorno dopo giorno, in modo silenzioso, discreto, quasi nascosto.

Ed è questa ricerca dell’identità nascosta che porta alla realizzazione di questo viaggio fotografico alla scoperta degli orti cittadini di Bologna, capace di aprire una porta sull’invisibile, di rivelare come gli orti siano anche metafore di memorie che dialogano con il contesto in cui sono inseriti, che legano gli anziani e le anziane alle generazioni più giovani. Questi piccoli orti non aspettano l’uomo, ma la sua anima ne è irresistibilmente attratta, li interroga pazientemente, finendo, così, per fondersi con essi in una superiore unità, in cui non c’è più differenza tra lo spazio creato e quello evocato, tra il gesto e l’azione compiuta. Essi suggeriscono legami tra noi e l’altro che non si possono dire, ma solo mostrare o sentire, costruendo il valore di una cittadinanza solidale, attenta al proprio vicino, qualunque sia la sua provenienza.